Di seguito riportiamo l’analisi di Davide Crepaz sulla storiografia e il compito dello storico nelle voci di Wikipedia.
Questo elaborato fa parte del suo percorso esperienziale, a conclusione del progetto Comunità e Narrazione.


Gli approcci alla scrittura della storia sono indubbiamente diversi in base al periodo storico di riferimento, poiché diversi sono, e sono stati, i materiali a disposizione del “soggetto scrivente” che si pone come fine la ricostruzione di fatti realmente accaduti.

La nascita della storiografia

Erodoto, accreditato da Cicerone (ma non solo) come padre della storia, si destreggiò in un’indagine (che poi è il significato greco della parola historìe) sul passato, compiendo dei viaggi allo scopo di, come dichiarato nel proemio della sua monumentale opera sulle guerre persiane, esporre le sue ricerche affinché “le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari rimangano senza gloria, e inoltre per mostrare per qual motivo vennero a guerra fra loro”.

Il suo scopo, ovvero narrare le imprese degli uomini perché non vadano dimenticate indagando le profonde connessioni che li hanno causati, si può dire centrato. Erodoto rimane la fonte di gran lunga più importante ed utilizzata per quanto riguarda la nostra conoscenza della storia delle guerre persiane nei manuali di storia. Egli si concentrò sulle guerre persiane poiché durante la sua vita la memoria sociale degli accadimenti era ancora viva.

Il suo metodo consisteva nell’intervista orale, d’altronde l’oralità era l’ambito entro il quale, prima di Erodoto, maggiormente venivano tramandate le vicende storiche. Sin da subito deve essersi reso conto delle problematiche derivanti dall’unione di più consuetudini, in quanto provenienti dalle varie poleis, le cui tradizioni storiche orali circolanti, erano pregne se non di ideologici sensazionalismi, di legittimazioni più o meno concrete per elevare la grandiosità della propria polis. Esistevano naturalmente già al suo tempo delle iscrizioni (epitaffi, epigrammi, elegie ai caduti) create “ad hoc” per supportare il valore dei combattenti delle varie città. Quello che compie Erodoto nella sua opera è lo sforzo di presentare i racconti che gli venivano presentati di volta in volta, senza dover commentare i fatti storici o credere che siano davvero andati in un determinato modo. Egli afferma (VII, 152.3): “Io ho il dovere di riferire quello che si dice, ma non ho alcun dovere di crederci: sia questa la regola valida per tutta la mia opera”.

Erodoto ha compiuto un lavoro di una grandezza unica sul confine tra memoria e oblio: di fatto a lui spetta il compito di decidere cosa verrà ricordato e cosa no. Non abbiamo naturalmente la certezza che i fatti si siano svolti come ce li presenta Erodoto: la prima cosa da tenere a mente per leggere la sua opera è quella di problematizzare il discorso storico separandolo da quello, per l’appunto ideologico.

Lo storico

Con Erodoto nasce lo storico in quanto “soggetto scrivente” che autonomamente compie delle ricerche sul passato, anche se alla sua epoca non esisteva ancora la storia in quanto tale: risulta difficile separare la storia dall’etnografia o la geografia. La consapevolezza che lo studioso di storia oggi ha di ciò che la storia stessa è, dovrebbe consentirgli di evitare di far rientrare opinioni, commenti e prese di posizione nella storiografia ufficiale. Erodoto pone Greci e Barbari sullo stesso piano, di fatto egli stesso era nato in una satrapia dell’Impero Persiano sulle coste dell’Asia Minore, nell’odiena Bodrum in Turchia e nelle sue Storie non risultano essere presenti solo le motivazioni greche, ma anche quelle persiane nel tentativo di dare dignità ad entrambe le parti in causa.

La storiografia su Wikipedia: problematiche e prospettive

La lettura della riflessione proposta dal gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki, e di quelle pubblicate sulla rivista di studi storici Diacronie (numero 29 1|2017, articoli dal 6 al 12 compresi), propongono a mio avviso vari (s)punti sui quali sarebbe il caso di soffermarsi.

L’articolo del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki mi ha consentito di rilevare qualche spinosità sul modo in cui funziona Wikipedia. La verificabilità del dato attraverso la certezza dell’identità dell’autore crolla e il dibattito (come anche sui social network) si svolge tra appassionati, che a divergenza di opinioni portano alla stesura di una voce incoerente in se stessa. La presenza di riferimenti bibliografici non sancisce la serietà di una ricostruzione storica. Tacere infatti su certi riferimenti per favorirne altri significa non avere interesse per la ricostruzione ma cercare prove che supportino la propria visione della storia. Il confine tra oblio e memoria è dato dall’arbitrarietà di chi la storia la scrive (come nel caso di Erodoto) e attualmente su Wikipedia è ad appannaggio di una minoranza egemonica di chi ha più tempo da dedicare alla stesura delle voci.

Come scritto da Baldo nel suo primo articolo della serie precedentemente citata, su Wikipedia tutti possono accreditarsi come storici. Questo porta le voci a diventare uno spazio in evoluzione in cui tutti provano ad inserirsi cercando di rendere egemone la propria visione del passato. Il risultato che ne consegue è che alcune voci vengono monopolizzate (e il problema si fa più serio quando si tratta per l’appunto di voci storiche). La narrazione storica non può diventare una questione di consenso tra gli utenti (come accade invece in modo piuttosto evidente nella voce Storia del Trentino) facendo utilizzo di fonti per distorcere, se non falsificare i fatti storici in virtù di un “frame etniconazionalista” il quale indubbiamente fa prendere una posizione di fronte ad uno avvenimento, a ciascuno di noi, a modo proprio. Certamente non si può ridurre la storia ad un unico punto di vista neutrale, sarebbe piuttosto il caso di fornire tutti i punti di vista, fermo restando che ognuno è libero di avere le opinioni che vuole in merito a fatti storici (eccettuato il negazionismo di fronte a fatti di cui possiamo avere testimonianza diretta).

Le opinioni dovrebbero rimanere fuori dalla voce storica, in fondo la pagina di discussione concettualmente credo dovrebbe servire proprio a raccogliere le opinioni e sviluppare un dibattito per continuare a scrivere la storia sulle voci ed avvicinarci sempre più a conoscere la realtà dei fatti e ciò che ha portato lo svolgersi di precisi avvenimenti (come già Erodoto aveva scritto 2500 anni nel proemio già citato).

C’è indubbiamente da effettuare formazione negli utenti (soprattutto nei confronti dei cosiddetti utenti “passivi”), sia nelle scuole che nei musei alla quale auspicano più o meno esplicitamente quasi tutti gli autori degli articoli analizzati (Nicoletta Bourbaki, Baldo, Strizzolo, Pensa, Cenci) per la valutazione critica delle voci e l’attendibilità delle fonti.

Se è in parte vero che forse l’utilizzo di Wikipedia da parte di questi utenti sia in parte dovuto all’attuale sistema educativo (come sostenuto nell’articolo conclusivo della serie, di Baldo), allo stesso tempo credo sia da rivalutare anche il modo in cui Wikipedia stessa funziona. Si può pretendere che uno storico di professione intervenga nella modifica di una voce o in un dibattito all’interno del quale vige un conservatorismo storiografico nazionalista ingiustificato? Questo è il paradosso fondamentale, a mio parere della storiografia su Wikipedia: un appassionato di storia può tacciare di revisionismo uno storico di professione. In che modo quest’ultimo riuscirà ad alzare il livello della discussione e contribuire al miglioramento e alla fruizione delle voci? Come potrà accreditarsi presso la comunità?

La storia ha infinite sfumature, la scrittura della storia deve tenerlo in considerazione (ma di nuovo lasciando al di fuori di sé le interpretazioni del singolo). Certamente se la questione dell’attendibilità oggi è basata sull’impegno dimostrato dall’utente nel dedicarsi a Wikipedia, non ci si può aspettare che uno studioso di professione abbia tutto il tempo necessario a costruirsi un rank per entrare nel dibattito come un’autorità che di fatto gli spetta di diritto.

Diverse sono le proposte volte alla formazione dell’utente: analizzare una voce a scuola compiendo una “caccia all’errore” per riflettere sui meccanismi della divulgazione storica (Bourbaki), scrivere una voce per sensibilizzare a diventare dei fruitori più consapevoli (Pensa), scrivere di Wikipedia fuori da Wikipedia, e consultare le sezioni cronologia e discussione della voce che si sta leggendo per avere un’idea del dibattito e delle problematiche relative al contenuto della voce in questione (Baldo).

Particolarmente interessante ho trovato il progetto Wikipedia Primary School citato da Iolanda Pensa nel suo articolo, con il coinvolgimento di docenti universitari (i quali anche usano Wikipedia) per revisionare delle voci Wikipedia nel campo in cui sono specializzati. Essenziale è inoltre l’educazione all’utilizzo delle fonti, individuando ad esempio le criticità relative al valore storico dato a testi tra loro ontologicamente diversi come testi propagandistici e proclami imperiali (Bourbaki).

Per concludere

Se è vero che Wikipedia è una comunità separata da quella accademica con le proprie regole (Strizzolo), che la portano ad essere una piazza virtuale in cui si contribuisce alla ricostruzione del passato (Baldo), allora sì le sue caratteristiche la portano ad essere più un social network con continua interazione (Bassi) tra memoria sociale e storia senza storiografia (Strizzolo). Questo contesto, tra memoria sociale e storia senza storiografia, sembrerebbe proprio quello in cui si trovava Erodoto: egli dovette, seguendo il criterio della verosimiglianza (in mancanza di informazioni più precise) destreggiarsi tra la memoria orale di tre generazioni e una storia che ancora non era stata scritta in una realtà polimorfica come quella delle poleis greche tra fine età arcaica e inizio età classica. Se le ostilità tra fazioni sono inevitabili (Bassi) e portano ad una narrazione poco coerente in alcuni passi (come nel caso della voce Storia del Trentino), l’ammissione di parzialità non è onestà intellettuale come invece sostiene Baldo nella sua riflessione conclusiva, ma un pretesto per agevolare le “micro-narrazioni tipiche della Folksonomy” (Strizzolo) e una visione sempre più individualistica e nazionalistica della storia.

Bisognerà stare piuttosto attenti, come suggerisce Bassi, alla scelta del linguaggio per la prospettiva in cui si vogliono inserire i fatti, da una e dall’altra fazione. Questa sì, a mio parere, sarebbe onestà intellettuale: avere il “coraggio” di affrontare un dibattito, a costo di andare contro le proprie convinzioni, dal quale emerga una visione della storia più vicina ai fatti che alle opinioni.

Davide Crepaz